IL CEDAR LAKE CONTEMPORARY BALLET TRAVOLGE IL TEATRO NUOVO (foto I.Trabalza)

di Carlo Vantaggioli

Che il balletto sia da sempre il valore aggiunto del Festival dei Due Mondi, è cosa nota ai più e sopratutto a tutti coloro che hanno avuto la possibilità di vedere negli anni a Spoleto grandissimi artisti e compagnie storiche che nella danza erano quanto di meglio si potesse trovare in giro per i teatri del mondo.

Il ricordo personale di chi scrive è legato agli anni in cui al Festival, la sezione danza era affidata a Vittoria Ottolenghi, forse una delle maggiori critiche del settore e che attualmente ha ancora una seguitissima rubrica sul settimanale L'Espresso. Erano gli anni ('70-'80), in cui a Spoleto si vedeva in giro Jerome Robbins e Mikhail Baryshnikov con l'American Ballet Theatre, senza dimenticare che ancora prima i nostri palcoscenici erano stati calcati da compagnie come David Parsons Company, o Dance Theatre of Harlem, ma anche Pilobolus poi diventati Momix, Maurice Bejart, all'epoca in cui ancora era vivo il ballerino Jorge Donn (il Bolero di Bejart era stato studiato per lui).

Se ne potrebbero citare tanti di nomi famosi, ma lo scopo di questa piccola e non esaustiva "rimpatriata" è solo quello di scoprire con piacere che il Cedar Lake Contemporary Ballet è per Spoleto53 una sorta di ritorno alle origini.

Il Cedar Lake, fondato nel 2003 da Nancy Laurie, si è già affermato per il suo straordinario corpo di ballo composto da sedici talentuosi danzatori come pure per la accentuata propensione a lavorare con i più richiesti coreografi emergenti nel mondo. Sotto la direzione artistica di Benoit-Swan Pouffer, il Cedar Lake propone un ampio repertorio statunitense e internazionale, che comprende lavori di Nicolo Fonte, Edwaard Liang, Crystal Pite, Jacopo Godani, Stijn Celis, Angelin Preljocaj e Ohad Naharin, Didy Veldman, Luca Veggetti e Sidi Larbi Cherkaoui.

A Spoleto le coreografie proposte sono "Sunday, Again", coreografia Jo Strømgren, "Unit in Reaction", per una prima italiana con la coreografia di Jacopo Godani e "Frame of view" ancora una prima italiana con la coreografia di Didy Veldman.

Il ritorno all'antico non è tanto per le eccezzionali due prime italiane proposte, quanto per la interessante "concertazione" tra una compagnia tecnicamente di grande livello e le novità in campo coreografico presenti sulle scene più creative del momento.

Il felice connubio produce così uno spettacolo per Spoleto che lascia elettrizzata una platea che durante e sopratutto al termine si lascia andare entusiasta a lunghi applausi e molti gridolini di apprezzamento, un pò all'americana.

Che ci fosse attesa per questa compagnia è testimoniato anche dalla presenza in sala di alcuni ballerini impegnati nello spettacolo dell'Hamburg Ballet e John Neumeier, o di esperti del settore come Alberto Testa, anche lui curatore di qualche Festival del passato.

Se dunque anche nella danza si torna a "fare sul serio" vuol dire che la "ricostruzione" del prodotto Festival dei Due Mondi sta procedendo spedita verso un buon fine.

Sullo spettacolo in se non è il caso di dilungarsi anche perchè un buon lavoro nella danza va visto e vissuto attraverso tre principali punti di riferimento, la coreografia, la capacità tecnica dei ballerini, e la regia fatta di scena e musiche.

Le emozioni difficilmente sono replicabili a parole, anzi spesso le parole privano di significato, ciò che i sensi hanno registrato durante lo spettacolo. Come sempre quindi meglio andare a teatro.

Solo alcuni flash sulle tre coreografie rappresentate, più per convincerci che siamo in un "rinascimento" della danza a Spoleto, piuttosto che per una critica ragionata.

In "Sunday Again" colpisce la rottura di schemi e tempi tradizionali della danza ed anzi diventa una curiosa quanto inaspettata novità la rumorosa presenza dei ballerini in scena che parlano, sbuffano, gridacchiano, e sbattono oggetti e piedi per terra, quasi volessero dire "ci siamo anche noi...non siamo solo bellezza e movimento".

" Sunday, Again- dice il coreografoJo Strømgren- vuole in primo luogo riflettere la complessa varietà dello stile musicale di Johann Sebastian Bach. Figure astratte in movimento si intrecciano e si susseguono come in una fuga, allo stesso modo in cui nello stile barocco si susseguivano frasi melodiche e abbellimenti"

In "Unit in Reaction", è significativo il richiamo alla struttura base della famosa coreografia di David Parsons, "Caught", dove il movimento è bloccato in figure coreografiche fissate dalla luce di scena. In Caught c'è un solo protagonista, mentre nella coreografia di Jacopo Godani, è l'ensemble che si muove in quadri plasmati dalla luce. Bellissimo il contrasto tra il movimento furioso dei ballerini ed il cupo suono della musica di Ulrich Müller e Sigfried Rössert of 48 Nord, a cui si aggiungono luci basse e costumi di scena scuri come si trattasse del primo tratto di una galleria della metropolitana. Un elemento che schiaccia ed un altro che si libera... Un vero diluvio di sensazioni ed umori. "Pensiamo alla enorme quantità di messaggi mediatici- dice Jacopo Godani- e di immagini dai quali siamo bombardati continuamente. Io vedo il movimento, in questa coreografia, simile a quello prodotto dai pixel su un video-schermo, animato, mutevole, in evoluzione."

In Frame of Wiew, invece l'esplosione fisica dei ballerini e la contemporaneità del vivere sono un autentica rappresentazione di tutti gli stati d'animo possibili nell'umano. In una scena dominata da tre porte, in un incessante gioco alla "Sliding Doors" si godono attraverso la muscolarità dei protagonisti molti richiami all'esperienza di Pilobolus e Momix. Corpi sospesi, scene al rallentatore millimetricamente eseguite senza nessuna incertezza, porte deformabili da volti e mani in quella sorta di gioco al "morphing" che tanto piace ai Momix.

" Ho voluto indagare sul movimento fisico- racconta la coreografa Didy Veldman- che una particolare emozione può provocare, come si manifesta nel nostro corpo, quanto a lungo possa durare la sua connotazione fisica e l’energia che essa scatena."

Strappa applausi a scena aperta l'assolo sulle note di "Ne me quitte pas".

E citiamoli questi splendidi ballerini, di una generazione muscolarmente nuova, insolitamente robusta con danzatori altissimi e danzatrici elegantissime anche se potenti:

Jubal Battisti, Jon Bond, Nickemil Concepcion, Gwynenn Taylor Jones, Jessica Lee Keller, Jason Kittelberger, Ana-Maria Lucaciu, Oscar Ramos, Matthew Rich, Acacia Schachte, Harumi Terayama, Manuel Vignoulle, Ebony Williams, Golan Yosef.

Se il Cedar Lake Contemporary Ballet è dunque il nuovo corso, siamo sulla strada giusta. Manca solo qualche viaggio in più per il M° Ferrara per andare direttamente sulla scena artistica mondiale, la dove tira il vento giusto, e non importa se si tratta solo di balletti. In fondo, come tradizione vuole, un buon programma di danza è il 50% della riuscita del Festival.

 

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