FESTIVAL, GOGO NO EIKO E IL MIRACOLO DI GIORGIO FERRARA. TRIONFO DI CRITICA PER L’APERTURA (Foto Ivano Trabalza)

di Carlo Ceraso

 

Un vortice di sentimenti, musica, colori e movimenti che sconquassano l’anima. Capaci di conquistarla, farla a pezzi, calmarla e farla sobbalzare; di tenerla inchiodata in attesa che la tragedia di Fusako, vedova e madre di Noboru, si compia.

La Gogo no eiko firmata da Giorgio Ferrara, che ieri ha aperto la 53ma edizione del Festival dei 2 Mondi, è un capolavoro destinato ad entrare nella storia della lirica. Un film, più che una rappresentazione teatrale. Che scorre attraverso le leggi di un Oriente, quello estremo del Giappone, sempre più offuscate da quelle degli occidentali, sbarcati in massa dopo la seconda Grande Guerra.

Non si può assistere ad un’opera così se non ci spoglia prima, molto prima di conquistare persino il foyer, del proprio dna, delle conoscenze musicali e della poesia che contraddistingue i libretti della lirica italiana. Bisogna avere la forza di non guardare il monitor che riporta la traduzione del testo giapponese, ispirato al romanzo di Yukio Mishima (Il sapore della gloria). Per immergersi in una realtà totalmente diversa.

Quella di Noboru che mitizza la figura di Ryuji, l’ufficiale di marina che si innamora di Fusako al punto di decidere di abbandonare il mare, il vero protagonista della tragedia di Mishima. Quello con cui ogni vero ‘uomo’, ogni eroe – come lo il marinaio agli occhi del figliastro, che così si affanna a descriverlo alla sua gang – dovrebbe confrontarsi per tutta la vita. Dimostrando quella virilità tipica degli antichi samurai, capaci di non farsi mai travolgere dalle emozioni. Più che la morbosa gelosia nei confronti della madre, che spia tutte le sere nella sua intimità, è il tradimento che Ryuji fa al mare, la sua rinuncia a ricercare la gloria, a condannarlo per mano di Noboru e dei suoi amici. Persino la comprensione che il patrigno ha nei suoi confronti, la sua decisione di aiutare la madre a gestire il negozio di abiti alla moda occidentale, diventano una debolezza. Che va punita, senza appello.

L’impronta di Ferrara e la sua esperienza cinematografica, si avvertono subito. Rispettosa dell’opera di Hans Werner Henze, il celebre compositore tedesco che ieri non ha voluto mancare la Prima, e del testo di Mishima. Non è un dettaglio da sottovalutare, in un momento in cui i registi cinematografici prestati alla lirica sembrano avvertire il dovere di stupire stravolgendo protagonisti e scene (dalla Mimì eroinomane di Russell alla Madonna che partorisce in una scena inserita da Latella nella Tosca, ai vestiti da mafioso di Gianni Schicchi nell’opera di Woody Allen che ha aperto l’edizione precedente della kermesse spoletina). Troppo facile pensare ad una Fusako nuda sul letto o a un Noboru formato punk.

Ferrara stupisce il pubblico rispettando, viva dio, la tradizione, ricorrendo ad un gruppo di professionisti che hanno compiuto, insieme alle maestranze spoletine, un vero miracolo: dallo scenografo Gianni Quaranta (il Premio Oscar con ‘Camera con vista’) a Maurizio Galante (lo stilista che si divide fra moda e costumi di scena) e a AJ Weissbard per il disegno delle luci.

Straordinaria la scenografia, che vale da sola il costo del biglietto. Il genio di Quaranta, con una sola imponente quanto semplice “creatura”, riesce a inglobare le 14 scene in cui si svolge la trama: quattro enormi pali in legno che sorreggono l’enorme pedana che scorre ora verso il basso per ricreare gli spazi all’aperto, ora verso il basso per l casa di Fusako. Ecco la nave di Ryuji attraccare al porto, le montagne di Yokohama a far da sfondo alle riunioni della gang, il cimitero comunale a far da cornice all’atroce destino dell’ufficiale di marina. Il gioco di luci è surreale. Preziosi i vestiti di Fusako, persino il trucco dei protagonisti accompagna il pubblico in un’altra dimensione.

Splendida la voce di Ji Hye Son, la soprano coreana, che il Festival di Spoleto consacra definitivamente nel panorama della lirica intenazionale. Il tenore Toshiaki Murakami (Noboru) ha confermato la sua fama che lo vede fra i cantanti più amati in Giappone. Steso discorso per il baritono coreano Carlo Kang (Ryuji) che debuttò proprio in Italia, al Regio di Parma, in quel Teatro e di fronte al quel pubblico con il quale neanche alcune celebri voci se la son sentita di confrontarsi.

Al termine della rappresentazione lo stesso Henze si è avvicinato al palco inchinandosi in segno di riconoscenza a Ferrara e al direttore d’orchestra Johannes Debus che ha diretto magistralmente la Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”. Henze si è poi rivolto verso il pubblico che ha tributato un lungo applauso a quello che è l’ultimo erede della grande tradizione musicale tedesca. Peccato che gli occhi del musicista abbiano visto il Teatro Nuovo mezzo vuoto, con decine di palchi vuoti (persino la platea contava una trentina di poltrone libere)

I vip – tante le autorità che non hanno voluto mancare alla Prima. Dal sottosgretario al MiBAC Francesco Giro all'ambasciatore del Giappone in Italia Ando Hiroyasualla, la  governatrice Catiuscia Marini, il sindaco di Spoleto Daniele Benedetti e il presidente della Provincia Marco Vinicio Guasticchi. Tanti parlamentari e volti noti dello spettacolo e della cultura: da Corrado Augias a Lilli Gruber, Vittorio Sgarbi, Giuliano Ferrara, Franca Valeri, Pino Strabioli, Lina Sotis solo per citarne alcuni

La cena – tante le assenze anche alla cena di gala offerta dalle Casse del Centro e Fondazione Carla Fendi, a parziale dimostrazione che gli ospiti degli sponsor hanno disertato l’evento. Alla cucina hanno pensato gli chef di tre grandi ristoranti spoletini Andrea Scotacci per l’Apollinare, Alberto Massarini per il Pentagramma e Giovanna Tomassoni con Marco Saveri per il San Lorenzo. Raffinato il menù: insalata di patate con uova di quaglia, pomodorini e tartufo nero; tronchetto di sfoglia di ricotta e spinaci con gaztacho di pomodoro e basilico; lombello in rete al ristretto di Trebbiano spoletino in semi di finocchio; parfait al Bacio Perugina con crema leggera al Sagrantino. Il tutto accompagnato da Aliara e Rosso di Montefalco della Cantina Signae Cesarini-Sartori.

 

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