"ABRACADABRA"... E PIAZZA DUOMO DIVENTA NEW YORK. IL "LINGUAGGIO" DI GERSHWIN TRASFORMA IL CONCERTO FINALE IN UN PROMETTENTE INIZIO (Photo)

Al Festival dei Due Mondi se c'è uno spettacolo che per antonomasia può definirsi "tradizionale" questo è il Concerto di chiusura in Piazza Duomo. Lo è non solo per il consueto viavai di Vip ed ospiti d'eccezione che arrivano in massa per una vetrina sotto i riflettori dei media o per pura passione, ma anche perché da sempre "Concerto in Piazza" è sinonimo di "musica classica", ed ai più alti livelli. Per la verità quest'anno di Vip ce ne sono stati un pò meno, mentre non sono mancate le consuete presenze istituzionali, come il "prezioso" Ministro Renato Brunetta che evita le domande di TO® "non mi intendo molto di musica classica", il Capo di Gabinetto del Ministro Bondi, Salvatore Nastasi, e il sottosegretario dello stesso dicastero, l'On. Francesco Giro.

Presenti anche il Presidente del Consiglio Regionale, Fabrizio Bracco, l'Assessore Silvano Rometti e assente però la Governatrice Maria Rita Lorenzetti. A scendere, in platea, tutta la poltica locale in rigoroso assetto bipartisan, perchè la musica, a quanto pare, mette d'accordo tutti. Oppure sarà l'aria di mondanità che tanto piace agli eletti

Quando Giorgio Ferrara annunciò qualche mese fa che a chiudere il 52° Festival sarebbe stata la musica di George Gershwin, agli ortodossi della " tradizione" è comparso ben più di un semplice corrucciamento del sopracciglio.

Ed in Piazza ieri sera, sull'argomento, se ne sono sentite di tutti i colori, come qualche autorevole commentatore che con il birignao tipico di chi la sa lunga, continuava imperterrito a dire, anche ad esecuzione iniziata, "ma se volevo ascoltare il jazz, allora me ne andavo a Umria Jazz", rendendo così macroscopico il limite di tanti "pseudo-intenditori" che confondono ad esempio la musica di partitura di Gershwin con l'improvvisazione o il virtuosismo degli assoli, tipici elementi delle partiture "in divenire" del jazz e che nel tempo sono stati usati per trasformare le sue musiche originali.

Il "Sig. Gershwin", per dirne una, scrive il poema sinfonico "An American in Paris" mentre si trova a Parigi nel 1928, ed intorno a lui inizia a girare la musica dodecafonica e compositori come Igor Stravinskij e Arnold Schoenberg, quasi contemporanei. Fu anche molto influenzato da Maurice Ravel che si rifiuta di fargli scuola, per il timore delle contaminazioni tra vecchio e nuovo continente.

Puristi o "purificati" a parte, il Direttore e pianista Wayne Marshall e l'Orchestra sinfonica di Milano "Giuseppe Verdi" ieri sera hanno fatto il resto compiendo quella che per una platea di più di 2600 spettatori, è stata la magia di trasformare Piazza Duomo e l'imponente prospetto della Cattedrale in una "5th avenue" di New York, o in un teatro dell'Off-Broadway, l'Abracadabra che non ti aspetti.

Al primo volteggiare di bacchetta non c'è stato spazio per altro che non fosse "Rhapsody in Blue", " I Got Rhythm", in una pregevole variazione di Piano ed Orchestra, "Overture Girl Crazy" e la celeberrima "An American in Paris", ma anche per una celebrazione di "Gershwin in Hollywood".

George Gershwin in poco più di 39 anni, tanto è durata la sua vita, compone oltre 700 canzoni ed una serie di opere fondamentali tra cui appunto il poema sinfonico "Un Americano a Parigi", ma soprattutto "Porgy and Bess" uno dei capisaldi del teatro americano.

Al termine lunghi applausi convinti e la concessione di due bis sciolgono i dubbi e spazzano i "cacafini" dall'orizzonte musicale di Piazza Duomo.

Wayne Marshall si è rivelato un Direttore d'orchestra rigoroso - ha diretto tra l'altro i Berliner Philharmoniker - e di grande temperamento al punto che alcuni orchestrali, al termine dell'esecuzione, raccontano a TO® di aver avuto in qualche momento alcune difficoltà per i cambi di ritmo, non previsti, che Marshall improssivamnte imponeva sull'onda dell'emozione e dello slancio del pubblico. Marshall è un pianista virtuoso, ma anche un personaggio istrionico e "gigione" come quando, appena ricevuta la prima dose di applausi alla conclusione del concerto, ha ringraziato il "cielo" (thanks to the weather) per essere stato clemente, alzando le braccia e lo sguardo al cielo o come quando, all'esecuzione del primo bis " Promenade", passeggiando per il palco, si è messo seduto tra le file della sezione fiati dell'Orchestra Verdi lasciando i professori liberi di seguire la partitura eseguita con cronometrica precisione. Quando si dice l'affiatamento! Un orchestra splendida.

Persino le rondini in Piazza Duomo hanno pensato bene di non garrire in maniera "tradizionalmente" evidente, mentre piuttosto volteggiavano nel finale sopra l'orchestra con evoluzioni alla "Fred Astaire".

Per la cronaca, prima dell'inizio del concerto, Giorgio Ferrara, come ormai accade da mesi nei teatri e nei luoghi di spettacolo in genere, ha letto un documento degli operatori del settore da tempo in lotta per il taglio dei fondi al Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo), taglio che ne mette a rischio il lavoro e la sopravvivenza.

A margine consentiteci una divagazione sull'utilizzo del termine "abracadabra": nella Bibbia ebraica si dice che Dio fece il mondo con le parole. Questa espressione in Aramaico si dice "avara ke-devara" ovvero "io creo mentre parlo", divenuta poi nel linguaggio magico "abracadabra". Spesso siamo abituati a pensare alle parole, ai linguaggi, come meri segni o significati, poco più che un pugno di sillabe o suoni. Più di frequente è l'abuso che se ne fa, che rende difficile capire cosa è vero nei significati di quei suoni o parole che stiamo ascoltando. La musica è un linguaggio e come tale va trattato e, rispettando l'abracadabra, va solo suonata, ascoltata ed interpretata.

Ecco perché, dopotutto, Gershwin si è rivelato un concerto "d'inizio" e non un una semplice "chiusura", una scelta decisamente creativa ma nel solco della tradizione festivaliera. Con buona pace degli "pseudo-intenditor-proto o filo jazzisti".

(Carlo Vantaggioli)