KENYA E ITALIA DANZANO “I PRODOTTI” E SI LAMENTANO ASSIEME. AL CONFINE TRA ACROBAZIA E VITTIMISMO

"I Prodotti" è un titolo asciutto e onnicomprensivo, per uno spettacolo di "teatro fisico" che mette insieme un bel po' d'ingredienti e li frulla insieme. Ha debuttato al Chiostro di San Nicolò, mescola danza e recitazione, oltre ad interpreti di diversa tradizione e provenienza: c'è lo strapotere fisico di sei ragazzi kenyoti, gli Afro Jungle Jeegs, che in un'ora di forsennate acrobazie riescono a comunicarti bene la fame e la forza di un continente. Accanto al loro, ci sono gli artisti del Balletto Civile, compagnia italiana che collabora con gli Afro Jungle da due anni a questa parte ed è guidata da Michela Lucenti, ballerina e coreografa di La Spezia che ha frequentato il Teatro Stabile di Genova, affiancato Moni Ovadia, collaborato nel 2007 con Ismael Ivo.

In totale dieci interpreti, che accolgono il pubblico seduti su altrettante sedie e si alzano a turni, per dialogare con il linguaggio del corpo. Quello dei ragazzi africani è straripante, agilità e possenza si mescolano nelle capriole con cui Asamba, Onacha, Mboka e gli altri si schiantano sul palcoscenico. Il quartetto italiano (due uomini e due donne) accompagna la loro esuberanza, mitigandola o esasperandola con movimenti rallentati o a scatti.

Un grande schermo, alle spalle dei ballerini, traduce e introduce diversi frammenti di dialogo. Due ragazzi per volta avanzano a turno verso il pubblico, fino ai bordi del palco, e iniziano a discutere di argomenti pescati nel quotidiano: una coppia italiana parla del proprio rapporto sentimentale, un giovane bianco e uno nero non concordano sul colore della pelle di Gesù, i "capi" delle rispettive compagnie discutono il compenso che spetterà agli Afro per la loro performance spoletina: "Se venite tutti e sei possiamo darvi solo 2.000 euro", dice la Lucenti a Nicholas. Poi si alza, sbotta - "fai come c... vuoi!" - e si ritira in buon ordine. Interviene anche una voce narrante, che con affettata neutralità racconta la storia di due ragazzini africani, fratello e sorella migranti che fanno naufragio in mare. Uno dei ragazzi racconta in inglese la paura che lo coglie, quando vede da lontano la polizia ugandese e non sa se verrà ammazzato, derubato oppure ignorato. La stessa paura lo coglie quando vede i carabinieri italiani, e non ha con sè documenti d'identità.

Insomma lo spettacolo tocca temi impegnati, ha un tono fresco ed energico di denuncia, è di quelli che "devono" piacere per forza. Racconta storie diverse, accomunate da un senso dominante di KIGUZA BARIDII, parola che in lingua Kswailii è traducibile con "freddo dentro". Lo fa puntando il dito verso il pubblico, non solo metaforicamente: quando nel finale tutti gli attori indossano una maschera da paperella e gesticolano, mentre alle loro spalle scorre una specie di nota spese dello spettacolo, l'applauso è un tributo doveroso alle difficoltà e al coraggio della compagnia. Piuttosto che al valore complessivo dell'opera appena proposta. (Martino Villosio)