"L'AVVOCATO DEL TERRORE" SALE IN CATTEDRA A SPOLETO. AL CAIO MELISSO, JACQUES VERGES, UN PEZZO DELLA STORIA RECENTE. FRA I SUOI CLIENTI BARBIE, AZIZ, SAMPHAN, DJAMILA…

"Ognuno ha la sua etica. Io, per etica, sono contro il linciaggio". E poi "sono un essere umano e faccio l'avvocato. A noi avvocati difficilmente capita di difendere Madre Teresa di Calcutta. Una volta, in Francia, ho difeso un terrorista e poi una delle sue vittime, in causa contro lo Stato. Ho difeso criminali di destra e comunisti. Cercando di vedere in ognuno quello che ancora esisteva di umano". Infine: "Non bisogna mai identificarsi con la causa dei propri assistiti. Altrimenti si rischia di perdere lucidità". Parole bellissime e altamente ispirate di un personaggio misterioso, discusso e (almeno in apparenza) coraggiosamente "politically uncorrect".

Il direttore del Festival Giorgio Ferrara ha calato un asso formidabile, introducendo con legittimo orgoglio il "Serial plaideur" (difensore seriale) Jacques Vergès, sul palco del Teatro Caio Melisso. Ospite illustrissimo del Due Mondi di Spoleto, accolto da un pubblico incuriosito, suggestionato e in parte scandalizzato dalla proiezione del film documentario di Barbet Schroeder sulla sua vita, uscito in Francia nel 2007, intitolato "L'avocat de la terreur". L'uomo di orginini vietnamite che ieri ha parlato, mentre in piazza Duomo si svolgevano le prove di Apokalypsis, lo spettacolo prodotto da Monsignor Ravasi, esibiva il seguente curriculum: ha difeso in tribunale Klaus Barbie, il "macellaio di Lione", capo della Gestapo nella città francese durante l'occupazione nazista della Francia. Ha citato in giudizio Amnesty International per conto di numerosi governi militari africani. Tra i suoi clienti "illustri", figura il nome di Tareq Aziz, ex braccio destro di Saddam Hussein. A quest'ultimo, subito dopo la cattura nel 2003, ha offerto la propria difesa. Lo stesso ha fatto con Slobodan Milosevic. E' l'avvocato dell'ex capo di Stato e membro dei Khmer Rossi Khieu Samphan, dall'aprile del 2008 a giudizio davanti al tribunale cambogiano per i crimini di genocidio. Ha prima salvato dalla condanna a morte, poi sposato, Djamila Bouhired: la donna simbolo della guerriglia anti-francese durante la lotta per l'indipendenza algerina. La ragazza della casbah che, come ricorda una famosa scena del film "La battaglia di Algeri", fece saltare in aria un caffè pieno di civili. E' stato anche l'avvocato dello spietato terrorista internazionale Carlos detto "lo sciacallo", l'ispiratore di vari sanguinosi attentati avvenuti in Europa negli anni 70 e 80. E' stato vicinissimo a Pol Pot e amico stretto del banchiere svizzero nazista Francois Genoud, grande sostenitore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Ieri ad incalzarlo c'era l'onorevole Gaetano Pecorella, famoso difensore degli studenti durante gli anni della contestazione ed ex avvocato di Silvio Berlusconi. Vergès alla fine è uscito vincitore, portando il pubblico dalla sua parte con l'arma della seduzione retorica, eludendo accortamente il merito di molte delle domande che gli sono state poste ma vincendo grazie a un'argomentazione di fondo: la pietà umana. La famosa frase di Terenzio, "nulla di ciò che è umano mi è estraneo", gli è servita per offrire una spiegazione ad alcuni risvolti contradditori del suo percorso professionale. Per esempio, l'aver salvato Djamila dalla condanna a morte attraverso una difesa "di rottura", non riconoscendo il tribunale e sollevando l'opinione pubblica internazionale contro i metodi di tortura usati dai francesi. Per poi difendere, anni dopo, il torturatore "per eccellenza" Klaus Barbis: "In realtà sono stato coerente con me stesso. Io ho combattuto per la liberazione della Francia, per avere un paese democratico in cui anche Barbie ha diritto alla difesa". Vergès ha citato anche un evento determinante per le sue scelte: "Subito dopo la guerra, ero ancora soldato, rimasi commosso dalla vicenda di Pierre Laval, uno degli architetti del regime filo-nazista di Vichy. Prima di morire tremava, non per il freddo nè per la paura, ma perchè la notte prima della fucilazione aveva provato ad uccidersi, ma fu rianimato apposta perchè arrivasse lucido davanti al plotone di esecuzione. Il racconto di quell'uomo e il coraggio del suo avvocato, un uomo della Resistenza che gli fu vicino in quei momenti, mi colpì moltissimo".

"L'avvocato ha la stessa responsabilità del medico - ha aggiunto - che non può rifiutarsi di curare una malattia sessuale solo perchè non approva certe condotte etiche. E anche se l'avvocato, rispetto al medico, può comunque scegliere i propri clienti, per me esiste una specie di obbligo morale interno". "Il dolore delle vittime è una cosa che avvertiamo e comprendiamo subito, tutti. Ma è il criminale a porci delle domande. Saremmo capaci di commettere il suo stesso delitto? Come ha potuto fare ciò che ha fatto? In fondo non è un marziano, ma un essere umano. E' questa la domanda che viene posta all'avvocato difensore. Se ricostruiamo questo percorso, permettiamo alla società di prendere le giuste misure. E' un insegnamento che ci viene da lontano, dalle tragedie dell'Antica Grecia, dalla vicenda di Oreste che uccise la madre Clitemnestra ma fu risparmiato dalle Erinni su richiesta di Atena".

E' un linguaggio, quello esibito dall'avvocato, nutrito di citazioni classiche, di esempi tratti dalla Rivoluzione Francese, di retorica appassionata ma anche di qualche reticenza. Nessuna spiegazione, nel film documetario, su quegli otto anni (tra il 1970 e il 1978) in cui è letteralmente scomparso dalla circolazione. Rompendo ogni legame con la compagna Djamila (per cui si era convertito alla fede mussulmana) e tutti gli amici. Molti ipotizzano che si trovasse in Cambogia insieme ai sanguinari Khmer Rossi, anche se Pol Pot negò la circostanza. Altri rumors lo vorrebbero in giro per il Medio Oriente, impegnato nella lotta per la liberazione della Palestina. "Non posso dire niente, su quel periodo, creerei difficoltà a me stesso e ad altre persone". Eppure, nonostante questo enorme ed ambiguo punto oscuro nella sua biografia, il suo strenuo impegno nella lotta anticolonialista comunista, il forte sospetto di legami con il terrorismo internazionale di sinistra e in particolare con la Raf tedesca (ebbe anche una relazione con Magdalene Kopp, la donna di Marcos e di Johannes Weinrich, prima di ottenere la sua scarcerazione), ieri l'avvocato del terrore è riuscito a strappare applausi scroscianti toccando i tasti giusti come ha sempre fatto in carriera. Molta gente lo ha premiato, eccitata dalla sua oratoria, pur senza aver avuto una vera risposta a una domanda che sorge spontanea, scorrendo la lista delle parcelle illustri di Vergès: terroristi (o guerriglieri che dir si voglia) di area comunista, tiranni cambogiani, dittatori di Stati africani nati dalla dissoluzione del colonialismo occidentale. Un nazista come Barbie, difeso per fare un piacere a Genoud, finanziatore e sostenitore della guerra palestinese contro gli ebrei. "E' proprio sicuro, avvocato Vergès, di aver difeso tanti esseri umani e non, invece, una causa ben precisa?". (Martino Villosio)