I "DUE MONDI" DI MAHLER E BERNSTEIN DIALOGANO IN UNO SPLENDIDO CONCERTO FINALE

di Carlo Vantaggioli

Una Piazza Duomo piena e vivace come non mai, quella di ieri sera per il Concerto Finale della 53^ edizione del Festival dei Due Mondi. Bando alle mondanità e agli abiti elegantissimi, cancellato ogni segno di presenzialismo militante e per qualche verso imbarazzante (non sapremmo quale personaggio "fantastico" citare in effetti), il concerto finale è tornato nelle mani di chi la musica la ama e vuole assolutamente sentirla in quella congerie di emozioni che solo la Piazza del Duomo di Spoleto riesce a creare.

Qualche abituè della kermesse si è visto, Fausto Bertinotti e la moglie Lella, abbracciati calorosamente dall'ormai sempre più spoletino Vittorio Sgarbi che, scamiciatissimo, ha gironzolato per la piazza, molto indaffarato con il cellulare, prima di sedersi per assistere allo spettacolo.

Come consuetudine il Concerto è stato aperto dal saluto del M° Giorgio Ferrara che ha comunicato alla platea i primi dati confortanti di questa 53^ edizione, come già in mattinata fatto dettagliatamente con la stampa. Un Ferrara emozionato ed anche inorgoglito ha poi comunicato alla platea di aver ricevuto la telefonata personale di complimenti del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano "Un amico di vecchia data...", ci tiene a sottolineare il Direttore artistico del Festival.

Il microfono passa poi al Sindaco di Spoleto Daniele Benedetti al quale tocca la lettura del messaggio del Ministro della Cultura Sandro Bondi. Tanta è l'emozione di leggere il prezioso documento che il sindaco, dopo aver terminato la lettura, si porta via anche il microfono lasciando Ferrara a gesticolare e sgolarsi tentando di chiudere il saluto alla piazza, prontamente soccorso dallo stesso Benedetti che, con verve scenica sussurra, recuperando, "questa non era preparata...".

Anche quest'anno Ferrara ed il fido consulente musicale, Alessio Vlad, hanno imbastito un filo conduttore per questo appuntamento, che ha salde radici storico-cronologiche, ma soprattutto traccia un disegno di ampio respiro culturale, come è nella tradizione del Festival. Ancora una volta quindi i "Due Mondi", l'America e l'Europa, anzi la Mitteleuropa), sono i protagonisti dialoganti del Concerto Finale.

Nel Programma ufficiale di Spoleto53 si citano come riferimenti di indirizzo, i 150 anni dalla nascita del compositore boemo Gustav Mahler e i 20 dalla scomparsa di Bernstein. Inoltre la critica, piuttosto concorde su questo, afferma che Bernstein è considerato uno dei massimi interpreti della musica di Mahler.

Se il disegno fosse tutto qui in fondo non ci sarebbe molto di più da dire se non che si è colta un giusta occasione per far ascoltare un po' di bella musica. Ma le cose non sembrano andare verso questa direzione. Ciò che si è tentato di costruire ieri sera a Spoleto attraverso la musica di Mahler e Bernstein è uno spaccato creativo tra due mondi geografici diversi ma comuni nel sentimento e nella creatività. Sarà banale dire che la musica non ha confini, tuttavia se non si riesce poi ad apprezzare la sintesi delle partiture musicali, le sfumature che riconducono ad esperienze comuni, persino universali, allora vuol dire che la musica la si orecchia, magari la si canticchia, ma in fondo non la si "sente". I due grandi artisti erano accomunati per certi aspetti non soltanto nella carriera professionale, ma anche nella propria vicenda personale e familiare.

Mahler è riconosciuto come il genio musicale della fine del 19° secolo, ed il precursore della nuova musica. Bernstein, che nasce poco dopo la morte di Mahler ( nel 1918 mentre Mahler muore nel 1911), in una sorta di passaggio ideale del testimone, diventa, a detta del New York Times, "Il talento più prodigioso della storia della musica americana".

Entrambi sono non soltanto compositori ma anche direttori d'orchestra.

La loro scrittura musicale è piena di riferimenti al vissuto del loro paese d'origine ed ha forti rimandi alla tradizione musicale popolare.

In Mahler è forse più accentuata, unita anche ad un certo gusto per il grottesco.

Nella vita entrambi hanno avuto vicende familiari che si potrebbero definire "difficili" e soprattutto segnate da una sensibilità ed una profondità che solo i grandi artisti riescono ad avere. Su Mahler quest'anno al Festival si è tenuto uno spettacolo che ne ha ampiamente descritto i tratti della personalità e della storia personale e di musicista. Significativa per il compositore la morte di una figlia di soli 4 anni ed il tradimento della moglie che lo portano a consultarsi in unica seduta psicoanalitica con Sigmund Freud. Su Bernstein basterebbe citare quello che fu un grande scandalo per la società puritana d'America tra gli anni '50 e '70. Bernstein infatti si sposò nel 1951, ma ben presto, dopo aver avuto tre figli, scoprì la sua bisessualità che lo portò ad avere una vita promiscua prima del divorzio definitivo dalla moglie avvenuto nel 1971.

Nel programma del Concerto Finale quindi la scelta del duo Ferrara-Vlad non poteva che cadere sull'epitome della produzione dei due compositori: West Side Story per Bernstein e la  Sinfonia n°1 per Mahler. Ed è sulle sinfonie in realtà che c'è il punto di "gravità permanente" tra i due artisti. Di Bernstein come direttore d'orchestra infatti, sono di fondamentale importanza i cicli sinfonici dedicati a Mahler, il primo negli anni '60 con la New York Philarmonic Orchestra  che segnò uno dei punti più alti della cosiddetta "Mahler Renaissance".

A Mahler, come compositore, la Prima sinfonia in re maggiore "Il Titano" (1888), ispirata all'omonimo romanzo di Jean Paul, causò più di qualche dispiacere. La prima esecuzione a Budapest nel 1889 fu quasi un disastro. La sinfonia, inizialmente concepita in cinque movimenti, in seguito fu ridotta in quattro movimenti dopo che Mahler decise di eliminare l'andante intitolato Blumine. Il più noto dei quattro movimenti è sicuramente il terzo, una sorta di marcia funebre iniziata da un contrabbasso solo che esegue una spettrale parodia della canzone popolare per bambini "Fra Martino".

Al giovane e bravissimo direttore d' orchestra, Diego Matheuz e all'Orchestra Sinfonica di Milano "Giuseppe Verdi", il compito di calarsi  in questa sorta di cratere magmatico incandescente, per riuscire a dominare il vulcano in eruzione. E Matheuz è l'altro "asso nella manica" di questo emozionante Concerto Finale.

Matheuz è un astro nascente sulla scena musicale ormai internazionalmente conosciuto a dispetto della sua giovanissima età. E’ venezuelano, ha solo 25 anni e rappresenta uno degli esiti più felici del ben noto “Sistema” fondato nel 1975 da José Antonio Abreu. Considerato il successore di Gustavo Dudamel, è pupillo di Claudio Abbado che lo ha nominato Direttore Ospite Principale dell’Orchestra Mozart di Bologna.

Grande quindi l'attesa per la sua direzione.

Liberi finalmente dai critici domenicali, che lo scorso anno scambiavano Gershwin per un jazzista, abbiamo potuto godere appieno delle Danze Sinfoniche da West Side Story, complice una splendida sezione fiati e ritmica dell'Orchestra Verdi, senza il timore che qualcuno blaterasse ancora una volta che  "questa non è la tradizione del Festival...". Anzi mai come questa volta, ascoltare la musica di Bernstein in Piazza Duomo ha  prodotto come una sorta di effetto "memoria" in cui ogni passaggio della partitura (scritta nel 1961), saldamente nelle mani di Matheuz, creava l'occasione per un ricordo personale o per una riflessione. Fantastica la riduzione cinematografica del musical con la regia del coreografo Jerome Robbins e di Robert Wise e con una giovanissima Natalie Wood. Le coreografie di quel film tornarono a Spoleto nel 1982 con lo stesso Jerome Robbins e l'American Ballet Theatre in uno spettacolo al Nuovo dove il primo ballerino era Mikhail Baryshnikov.

  Ma è nel momento in cui Matheuz inizia a guidare l'Orchestra Verdi sulla Sinfonia N°1 di Gustav Mahler che il pubblico, in una sorta di coincidenza temporale con le evoluzioni delle rondini e con il calare della luce e del vento, si distende in un silenzio assoluto ed attento. I passaggi di questa composizione, sembrano risvegliare tutti gli stati d'animo che circolano per la piazza ed è bello per una volta "sentire" la musica volgendo lo sguardo dove si vuole, tanti sono in questo splendido posto i riferimenti ed i simboli su cui riflettere insieme alle note. Non sempre capita che ci sia una simbiosi così forte tra esecuzione, musica e spettatori. Ma ieri sera c'era. Ed il nostro punto di osservazione era senz'altro uno dei migliori, il giardino della Cattedrale proprio a fianco della Piazza e per la cui disponibilità la Redazione di Tuttoggi.info ringrazia Mons. Arcivescovo Renato Boccardo, padrone di casa.

Merito anche, e sopratutto, di questo giovanissimo direttore d'orchestra che usa tutta la testa ed il corpo senza risparmio. Vederlo dirigere è uno spettacolo nello spettacolo, tanti sono i movimenti che riesce a fare, le smorfie e le espressioni del viso a sottolineare un passaggio della partitura, piuttosto che per incitare la sezione archi o quella fiati con occhiate sulfuree. In qualche momento della Sinfonia di Mahler si è talmente inarcato all'indietro che si è temuto potesse cadere sulle ginocchia degli spettatori della prima fila.

La piazza lo segue senza interruzione e alla fine gli tributa lunghi e calorosi applausi che portano Matheuz a tornare più volte alla ribalta, a concedere quindi due bis e a ringraziare, letteralmente elettrizzato, la splendida Orchestra Sinfonica "Giuseppe Verdi" di Milano, ormai di casa al Festival.

Si chiude quindi la 53^ edizione con un concerto decisamente all'altezza e che si può tranquillamente dire traccia in una sorta di continuità, l'inizio della 54^ edizione.

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